Emiliano Abramo sul naufragio del 13 agosto scorso a Lampedusa
- di Redazione
- 14 ago 2025

Mentre la gente affolla le spiagge e i ristoranti di Lampedusa, desiderosi di godersi queste giornate di mezza estate l’ennesimo barcone naufraga nelle acque della piccola Isola, consegnandoci altri nomi, tra morti e dispersi nel Mediterraneo, che si aggiungono ai 670 già contati nel 2025.
È difficile fare convivere le vacanze e il dramma dei migranti, soprattutto quando l’unica ricetta proposta è “non ci pensiamo” oppure “sono troppo sensibile, preferisco non sapere”.
A mio avviso non si può continuare così, trovando parole ambigue, pensieri fumosi che ci sottraggono dal dovere di piangere queste vittime.
Ricordo l'8 luglio del 2013, giornata storica in cui Papa Francesco fece visita proprio a Lampedusa, già segnata da sbarchi e naufragi, isola che pochi mesi dopo avrebbe vissuto il dramma delle 368 persone morte nel naufragio del 3 ottobre. Il compito Bergoglio, nell'individuare le letture bibliche per la Liturgia, scelse proprio “Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolare perché non sono più” (Ger 31,15).
Non esiste consolazione per noi nel distrarci, nell’indifferenza, ma soprattutto dimentichiamo che non siamo noi le vittime di questi viaggi, ma i migranti e le loro famiglie. Quanto egocentrismo da rimuovere in Europa!
Occorre, rivedere le leggi nazionali e gli accordi europei, servono corridoi umanitari e vie legali, ma ancora prima un rinnovato cuore nel leggere i drammi degli altri, una voglia umile a sana di combattere egocentrismo, scarsa informazione ed indifferenza che questo tempo propina come anestetizzante al male, ma le morti in mare non si bloccano così e, tantomeno, si costruisce così una società umana.
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