Antichi mestieri, i barbieri di un tempo
- di Salvatore Cifalinò
- 17 ago 2025

Finita la seconda guerra mondiale, molti di noi eravamo poveri.
In Sicilia, per esempio, quando era possibile, ci si recava dal barbiere per farsi tagliare i capelli e, qualche volta, quando era festa, anche per farsi radere la barba. C’era anche qualche benestante che si abbonava per un taglio di capelli ogni due mesi; in questo caso gli veniva praticato uno sconto.
Si andava anche per incontrare gente per parlare del più e del meno, o per sentire raccontare “storie” che non sempre corrispondevano al vero; allora non c’era la televisione e non tutti avevano la radio.
Spesso, nei barbieri, vi si riunivano suonatori di mandolino, chitarra, fisarmonica, basso, tamburello e si suonavano musiche della tradizione siciliana; si giocava anche a carte e il lavoro, quel poco che c’era, si concentrava soltanto nei giorni tra sabato e domenica. I barbieri non avevano orari, il loro giorno di riposo era il lunedì, ecco perché c’era un detto che recitava: “ Il lunedì è del barbiere” ( ‘u lunedì è du vavveri ). C’erano anche clienti che pagavano con merce varia il servizio ricevuto, non potendo fare diversamente per mancanza di denaro. I barbieri, sul finire di ogni anno, regalavano ai clienti più affezionati piccoli calendari tascabili a colori che profumavano di borotalco e raffiguravano donne succinte o attrici famose. E c’era un altro detto: “Il barbiere con quel che guadagna non riesce a mantenere la moglie” (‘u vavveri nun campa muggheri ). Egli, per andare avanti alla meno peggio, faceva diversi lavori, come le punture a domicilio, metteva le sanguisughe nelle spalle a chi soffriva di pressione arteriosa alta, ritenendo in tal modo di farla abbassare; estraeva i denti cariati facendo un nodo con uno spago attorno al dente da togliere. Il barbiere di allora era il punto di riferimento dei propri clienti, a lui si chiedevano consigli tra i più vari, come cercare una buona famiglia che avesse un figlio o una figlia da sposare. All’occorrenza egli faceva anche da paciere.
Nei saloni da barba si concludevano anche affari, come la compravendita di case, terreni, vecchi mobili, oggetti usati.
Il barbiere di allora, per eseguire una buona rasatura della barba ai clienti che non avevano più i denti, metteva loro una pallina di legno nella bocca che serviva per “stirare la pelle”. Non era raro trovare dal barbiere uno sgabello di legno in cui saliva il piccolo garzone per portarsi ad una altezza adatta per lavorare sulla sedia nella quale si accomodavano i clienti; nella sala c’erano sempre una pietra liscia di circa 10 centimetri per 10 e una striscia di cuoio a forma di cintura che servivano per affilare il rasoio a mano libera. Ora tutto è cambiato, i parrucchieri riescono ad offrire vari servizi, allora impensabili, come la tintura dei capelli, la pulizia del viso, manicure, modellamento delle sopracciglia.
Adesso non si dice più: “ ’u vavveri nun campa muggheri ”, ma rimane un patrimonio ricco di cultura e di tradizioni della Sicilia di una volta.
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